lunedì 24 gennaio 2011

Zagrebelsky: Berlusconi scapperà come Craxi

Qualcuno in Piemonte – oltre a presunte fidanzate di cavalieri inesistenti – guarda con attenzione alle evoluzioni dell’inchiesta milanese sul presidente del Consiglio: Gustavo Zagrebelsky, presidente dell’associazione Libertà e giustizia, che ha pubblicamente chiesto le immediate dimissioni del premier. Professore, nell’appello scrivete: “In nessun altro Paese democratico un primo ministro, indagato per così gravi capi di accusa, rimarrebbe in carica”. La situazione è esplosiva: si confrontano nel Paese due contendenti ed entrambi fanno leva sulla parola democrazia. Da una parte chi pensa che il presidente del Consiglio debba dimettersi, dall’altra chi pensa sia in atto una congiura antidemocratica ai danni del premier. L’Italia è spaccata.

Come può accadere?

Qualcuno fa un uso privato della parola democrazia.

Cioè?

Da una parte c’è un’idea di democrazia secondo cui chi è eletto è sotto la legge. Gli altri pensano che chi viene eletto sia sopra la legge.

Il consenso elettorale sarebbe uno scudo giudiziario automatico?

Volendo semplificare, è la vecchia antitesi di Aristotele tra governo delle leggi e governo degli uomini. Nel secondo caso, chi detiene il potere produce le leggi che gli fanno comodo. La differenza tra queste due concezioni di democrazia che oggi albergano, fronteggiandosi, in Italia è che una corrisponde alla democrazia liberale – ed è una conquista delle due Rivoluzioni, francese e americana –; l’altra può avere una pericolosa deriva autocratica. Berlusconi non a caso ha evocato, in un discorso a proposito di un suo processo, il giudizio dei ‘pari’: lui può essere giudicato solo dagli eletti in Parlamento e non dai magistrati.

C’è un modo per conciliare le parti?

Mi pare che il presidente della Repubblica stia cercando di far dialogare queste posizioni estreme.

Nell’appello di Libertà e giustizia si chiede un intervento tempestivo da parte del Quirinale.

È il ruolo del Colle, secondo la nostra Costituzione. Napolitano può far sentire la sua voce per denunciare questo scollamento. Che è preoccupante.

Siamo arrivati all’ultimo atto?

O vince uno o vince l’altro.

Vede rischi?

Questa situazione è destinata ad andare avanti fino allo scontro finale, che non esclude prove di forza. Ma certo queste non saranno a opera dei giudici.

Che significa “prove di forza”?

Manifestazioni, boicottaggi. D’altra parte il presidente del Consiglio dice di non riconoscere i giudici.

Il ministro Mara Carfagna in tv ha detto: “La Procura di Milano è un nemico politico da 16 anni”. Discorso eversivo?

Certo. Ed è pericoloso perché queste cose all’inizio si dicono timidamente. Poi, a furia di ripeterle, diventano verità assolute. Goebbels diceva: una menzogna ripetuta mille volte diventa verità. È la propaganda. Un deputato del Pdl ha detto che l’iniziativa della Procura di Milano è un golpe.

Passano per certezze di rango costituzionale bufale incredibili. Tipo la competenza del Tribunale dei ministri.

Sì, qualcuno si è inventato questa tesi e l’ha messa in giro da qualche giorno. Bisognerebbe dimostrare che intervenire nella procedura di affidamento di un minore fermato rientra nelle funzione del presidente del Consiglio dei ministri. Non basta che il reato sia commesso mentre l’indagato è in carica come Primo ministro. La Costituzione sennò sarebbe stata formulata così: “Per tutti i reati commessi durante il mandato dei ministri e del presidente del Consiglio…”. Invece si parla di “esercizio delle proprie funzioni”. Vuol dire che, durante il mandato, i membri del governo possono commettere due tipi di reato: comuni e afferenti alle competenze. Ma l’esercizio delle funzioni del presidente del Consiglio consiste in atti politici. Non in atti finalizzati a coprire le proprie magagne personali.

Torniamo a Napolitano. Ha detto: si faccia chiarezza in fretta.

Il senso del suo discorso credo sia: si smetta di alimentare lo scontro istituzionale. Deve essere la Cassazione a dire se l’iniziativa dei pm è sbagliata. Mi pare che Napolitano sia preoccupato, perché il fine di questo scontro sembra la prevalenza di una parte sull’altra. Non può essere così.

Se il presidente della Repubblica è così preoccupato del tentativo di elusione della legge, avrebbe potuto esercitare il potere di rinvio delle varie leggi ad personam.

Sono due cose diverse. Questa vicenda va oltre, perché al fondo ha semplicemente il tentativo di una persona di sottrarsi ai giudici. Del resto è la ragione di fondo della ‘discesa in campo’ di Berlusconi. La sorte di questo signore, nel momento in cui non fosse più presidente del Consiglio, sarebbe segnata non politicamente, ma giudiziariamente.

È l’anomalia italiana.

La democrazia è un sistema in cui, quando un Primo ministro cessa di essere tale, torna a casa sua. Tutti gli altri regimi implicano che la fine di una carriera politica sia traumatica.

Come se ne esce?

Si aspetta che si creino degli anticorpi all’interno della maggioranza. E si continua a insistere: non esistono due democrazie, ma una sola. Che ha due gambe: il diritto e il consenso degli elettori.

Ci sarà un redde rationem?

Non vedo una via di uscita tranquilla. Immagino qualcosa di simile alla vicenda Craxi. Il regime personalistico non prevede alternative. Leo Strauss e Alexandre Kojève nel loro Sulla Tirannide riportano un dialogo di Senofonte tra Gerione, tiranno di Siracusa, e il poeta Simonide. Gerione dice: non ho nemmeno la possibilità di ritirarmi a vita privata, perché sarei inseguito da tutti coloro verso i quali ho commesso soprusi. Posso solo scegliere di sparire.
di Silvia Truzzi

martedì 14 dicembre 2010

Berlusconi: l'inizio della fine

Finalmente signor Presidente del Consiglio oggi inizia la fine del suo impero di cartapesta. Qualunque sia stato il risultato numerico del voto di fiducia, qualunque sia stato il numero di voti comprati, è chiaro che non ha più quella maggioranza politica che le permette di governare. Le piaccia o non le piaccia è arrivato al capolinea della sua esperienza politica. Non le rimane che rassegnarsi al suo destino, consegnarsi alla magistratura e come un Noriega qualsiasi farsi giudicare. Pavido, pavido Presidente del Consiglio che fugge. Scappi alle Bahamas, vada anche lei a nascondersi perché altrimenti sarà processato ed è questo che vogliono i cittadini che in questi anni non si sono fatti infinocchiare dalla sua propaganda fascista. Lei si è messo a fare politica non per badare agli interessi dell’Italia, ma per risolvere i suoi affari personali, soprattutto quelli giudiziari, fuggiasco Berlusconi. Fino a qualche tempo fa lo denunciavamo solo noi dell’Italia dei Valori e siamo stati chiamati giustizialisti, populisti, questurini, ed è stato pure coniato un termine da voi ritenuto dispregiativo: “dipietristi”. Quello che noi diciamo da anni ora l’hanno ammesso anche membri della maggioranza, a partire dal Presidente della Camera Fini.
Lei pensa di lavarsi la coscienza dicendo che sono tutti comunisti, ma l’altro giorno, davanti a Montecitorio, hanno protestato i rappresentanti dei costruttori dicendo che sono stati presi in giro. Non vorrà dire, fuggitivo Berlusconi, che pure il presidente dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili, il dott. Buzzetti, sia un rivoluzionario comunista?
Ieri la guardavo, oggi fugge, mentre ieri era tutto tronfio, si sbrodolava nei suoi calzoni dicendo di essere il leader più popolare del mondo. Si è vero, di lei ne parlano tutti all’estero, ma è proprio per questo che noi ci vergogniamo di avere un Presidente del Consiglio che fuori dall’Italia viene deriso, ridicolizzato, sbeffeggiato, messo all’angolo, trattato da buffone di corte. Noi, da italiani, ci vergogniamo di lei, specie quando va all’estero. Ci vergogniamo dello stesso premier che chiama la questura per dire di rilasciare la nipote di Mubarak, che definisce Putin un “dono di Dio” e Gheddafi “un leader della libertà”. Noi ci vergogniamo perché quando va all’estero fa vergognare l’Italia!
Noi dell’Idv ci vergogniamo di lei che compra, a suon di bigliettoni, il consenso e il voto di fiducia dei parlamentari. Si rende conto di quel che ha fatto? Ha subornato la mente e la coscienza di alcuni deputati approfittando delle loro debolezze esistenziali. Lei è un Presidente del Consiglio e non può comportarsi in questo modo; è un delitto comprare il consenso parlamentare, nonché un atto moralmente deplorevole. Non mi venga a dire che non è reato perché la Costituzione garantisce i parlamentari nella loro libertà di voto. Ma dev’essere un voto davvero libero, un moto spontaneo di coscienza, senza condizionamenti e pressioni esterne e soprattutto non deve essere frutto di corruzione. Il voto non è più libero se, come ha fatto lei, viene venduto, scambiato, ricattato, costretto, indotto. Lei è moralmente riprovevole perché comprando il voto di alcuni deputati ha violentato la Costituzione e umiliato il ruolo del Parlamento, ha ridotto grandemente le condizioni minime di agibilità democratica in quest’Aula e nel Paese. Lei oggi deve affrontare la verità e non nascondersi dietro le sue bugie, come bugiardo e ipocrita è stato il suo discorso di ieri per chiedere la fiducia. Lei ha descritto un Paese delle meraviglie che esiste soltanto nella sua mente, nei suoi sogni narcisistici. Ha detto che ci sono 100 miliardi di euro messi a disposizione per rilanciare l’economia del Paese. Ma quali 100 miliardi di euro? Dove stanno? Chi li ha visti? Forse si riferiva ai suoi investimenti al sud di Antigua, ottenuti in cambio dell’annullamento del debito che quel Paese pirata aveva nei confronti dell’Italia. Perché lei è abituato a pagare con i soldi degli italiani i suoi affari. Così ha fatto e sta facendo con Gheddafi in Libia e con Putin in Russia.
Il Paese reale si trova in una situazione completamente diversa da quella che lei ha descritto. Provi a mettere fuori il naso da Palazzo Grazioli o da Montecitorio. All’esterno ci sono migliaia di persone stanche di essere prese in giro da lei e dal suo governo. Ieri mattina protestavano persino i poliziotti che sono stufi di pagarsi persino la benzina per inseguire i delinquenti. Ci sono studenti e docenti che non sono delinquenti per il solo fatto che protestano, signora Gelmini, ma sono giovani disperati ai quali avete tolto pure il futuro. E ancora ci sono i giovani senza contratto, ricattati dai vari Marchionne e strozzini di turno; ci sono i precari senza futuro di ogni categoria di lavoro. Fuori di qui non c’è il Paese delle meraviglie che lei ha descritto, ma i giovani e meno giovani che hanno perso il lavoro o non l’hanno mai avuto, i cittadini de L’Aquila terremotati due volte, dal destino e dalle sue frottole, ci sono i bisognosi ai quali avete tolto la solidarietà, ci sono persone che vogliono un po’ di giustizia.
Fuori di qui, fuori da questo Parlamento e da questo governo, perché avete ridotto l’Italia al Paese delle banane e prima se ne va, meglio è.

I delinquenti fuori dall'aula!!

Come un vile che ha la coda di paglia, il Presidente del Consiglio più delinquente che la Repubblica Italiana abbia mai avuto lascia l'aula di fronte alle sacrosante parole del Presidente dell'IdV Antonio Di Pietro che lo intima a consegnarsi alla Magistratura. E lasciano l'aula anche tutti quegli infami che lo sostengono.

Il giorno dei numeri


lunedì 13 dicembre 2010

Il terremoto di vent'anni fa









Oggi ricorre il ventesimo annversario del tragico terremoto che ha colpito Augusta e le cui conseguenze si sono trascinate per molti anni a seguire.
Era l'1:40 della notte tra il 12 e il 13 dicembre 1990 quando l'isola e la terraferma hanno tremato per dei lunghissimi ed interminabili 45 secondi. Moltissimi gli edifici privati distrutti e quasi tutte le chiese danneggiate in modo grave. Il palazzo del Municipio e la Biblioteca comunale divennero inagibili. Anche le scuole della città vennero in gran parte distrutte e se la scossa si fosse manifestata durante il giorno avrebbe causato la morte di centinaia di alunni. Tanti monumenti subirono danni dal forte terremoto, in primis la Porta Spagnola, simbolo della città. A quel tempo non esisteva ancora il ponte Federico II - costruito in seguito proprio per garantire una seconda via di accesso e di uscita dal centro storico -, pertanto l'unica via di fuga dall'isola era rappresentata appunto dai ponti della Porta Spagnola, che rimasero intasati dal traffico in esodo per diverse ore dopo il terremoto.
Benché siano passati venti anni, la memoria di quel tragico evento rimane ancora vivo nella memoria degli augustani - specialmente dai trentenni in su - ed è importante non dimenticare, per migliorare la prevenzione e l'organizzazione degli aiuti in occasione di eventi sismici di particolare gravità.

martedì 30 novembre 2010

Addio a Mario Monicelli, l'ultimo grande. Si è suicidato in ospedale.


Il regista scomparso a 95 anni ci lascia in eredità un lungo elenco di film indimenticabili, con cui ha regalato ruoli da antologia ai migliori attori di casa nostra. Da "La grande guerra" ad "Amici miei". E negli ultimi mesi la battaglia a fianco degli studenti e contro i tagli alla cultura.

ROMA - Spesso nel corso degli anni, riferendo della scomparsa di questo o di quel veterano del cinema, i giornali hanno utilizzato espressioni del tipo "addio all'ultimo dei grandi". Ma mai come nel caso di Mario Monicelli questo modo di dire si sgancia dal luogo comune, diventando verità assoluta: perché questo immenso autore nostrano è davvero un personaggio unico, nel panorama della settima arte. Padre fondatore ed esponente più autentico - cinico, disincantato, eppure carico di passione civile - di quella nobile tradizione che va sotto il nome di commedia all'italiana.
Un genere che al suo genio, al suo talento, deve tantissimo. Come dimostra l'elenco dei suoi film più noti (in tutto ne ha girati quasi settanta): da La grande guerra a I soliti ignoti, da Amici miei a Guardie e ladri, da L'armata Brancaleone a La ragazza con la pistola. Così come a lui devono tantissimo i migliori attori italiani del Novecento, a cui ha regalato ruoli indimenticabili: da Vittorio Gassman a Totò, da Marcello Mastroianni ad Alberto Sordi passando per Monica Vitti.


Se ne va l'ultimo grande del cinema italiano. Aveva 95 anni. Si è buttato da un balcone al quinto piano dell'ospedale romano San Giovanni, dove era ricoverato per un tumore in fase terminale. Le reazioni del mondo della cultura e delle istituzioni.

ROMA - Addio a Mario Monicelli, l'ultimo grande del cinema italiano. Il regista, 95 anni, è precipitato dal quinto piano dell'ospedale romano "San Giovanni". E' accaduto intorno alle 21. Secondo fonti sanitarie, si è tolto volontariamente la vita. Era ricoverato da qualche tempo nel reparto di urologia, per un tumore alla prostata in fase terminale. Era in una stanza da solo. Non è stato trovato alcun biglietto. Il corpo è stato rinvenuto dal personale dell'ospedale, a pochi metri dall'ingresso del pronto soccorso, disteso in un vialetto, accanto ad alcune aiuole. Il reparto è presidiato dalle forze dell'ordine. Il padre del regista, Tomaso, scrittore e giornalista, si era suicidato, nel 1946.
Con Monicelli scompare l'ultimo testimone di una stagione gloriosa del cinema italiano. La sua è stata una vita dedicata al grande schermo: quasi un film l'anno, dall'esordio, giovanissimo, con I ragazzi della via Pal, nel 1934, fino a Le rose del deserto del 2006 e alla sua ultima opera, Vicino al Colosseo c'è Monti, un corto-documentario dedicato al rione nel quale viveva e presentato fuori concorso alla 65esima Mostra del cinema di Venezia. Nei mesi recenti aveva aderito alla protesta del mondo dello spettacolo contro i tagli alla cultura, incitando i giovani a ribellarsi per un futuro migliore. Si era lamentato che il cinema di oggi non riusciva a raccontare l'Italia come è, ma non ce l'ha fatta a guardare al suo futuro.

La notizia si è diffusa mentre era in onda l'ultima puntata di Vieniviaconme, su RaiTre. E molti telespettatori l'hanno appresa da Fabio Fazio: "Non posso andare avanti - ha detto il conduttore - devo dirvi che è morto Mario Monicelli. Lo avremmo tanto voluto qui, ma era malato e adesso non c'è più". Immediati i messaggi di cordoglio dal mondo della cultura e delle istituzioni. Un gesto, dice il regista Carlo Lizzani, che "nasce anche dal fatto che era un super laico, uno che voleva gestire la sua vita fino in fondo, un gesto da lucidità giovane". E aggiunge: "Quello che fa capire quale sia stata la sua statura è la sua durata nel tempo nella storia del cinema italiano, prima con Steno, poi durante il periodo di Fellini e Antonioni ha continuato la sua opera intervenendo anche sul tessuto sociale con film come Compagni. E' riuscito sempre a stare a passo con il tempo". "Sono attonito - ha detto Carlo Verdone - era probabilmente una persona stanca di vivere, che non sosteneva più la vecchiaia. L'ho apprezzato molto come grande osservatore e narratore anche se a volte non condividevo il suo cinismo. Un anno fa - conclude Verdone - mi capitò di fargli gli auguri a Natale. Rimase sorpreso: "Gli auguri - mi disse - non li fa più nessuno". Per il regista Giovanni Veronesi, "una cosa va detta: non ho mai sentito nessuno che si suicida a novantacinque anni. Era davvero speciale". E aggiunge: "Sono davvero scombussolato, l'avevo sentito poco tempo fa e pur sapendo che era all'ospedale, non lo sono mai andato a trovare. Peccato".

Una decisione tragica "che va rispettata, aveva insegnato a tutti il rispetto delle regole e della tolleranza e così se qualcuno gli avesse chiesto perché il suicidio, avrebbe risposto: saranno pure i fatti miei": così Michele Placido, che con Monicelli aveva lavorato in Le rose del deserto. "Me la ricordo bene quell'esperienza, era una persona di grande energia e nessuno riusciva a stargli dietro. Cinque giorni fa lo avevo chiamato e mi aveva invitato a fare uno spettacolo per i terremotati de L'Aquila. Era così, anche molto generoso". E il produttore Aurelio De Laurentiis: "Io che lo conoscevo profondamente e sapevo della sua grande dignità e del suo desiderio di essere sempre indipendente e autonomo, posso capire questo gesto".

"E' una notizia inaspettata, come lo sono sempre queste notizie, ma in particolare per uno come Monicelli, pieno di vitalità e di un carattere talmente forte che una fine così era imprevedibile. Personaggio straordinario, forse persino sottovalutato": con queste parole Alberto Barbera, direttore del Museo Nazionale del Cinema di Torino, ricorda Monicelli a poche ore dalla sua scomparsa. "Nelle prossime ore si deciderà con il direttore Gianni Amelio come rendergli omaggio durante il Festival". Al Torino Film Festival c'è sgomento e cordoglio per la morte del regista, che coglie di sorpresa i cineasti presenti sotto la Mole e gela il pubblico all'uscita delle ultime proiezioni serali. Il direttore Gianni Amelio si è chiuso dietro un "no comment", e così il regista Giuseppe Bertolucci che ha aggiunto: "Sono troppo toccato, preferisco aspettare e non dire nulla".

"La notizia ci riempie di sgomento e di profondo dolore - scrive in un comunicato il sottosegretario ai Beni culturali, Francesco Giro - scompare un maestro del cinema italiano, un narratore aspro e vero della nostra Italia. Forse Monicelli non la pensava come me, ma io da lui ho appreso ad essere migliore e a vivere la vita". Fra i primi a giungere all'ospedale San Giovanni, Renata Polverini. "La tragica morte di Monicelli ci lascia sgomenti e ci addolora profondamente - ha detto il presidente della Regione Lazio - lascia un grande vuoto, perdiamo uno straordinario regista, autore di indimenticabili film della commedia all'italiana. Il suo suicidio ci lascia tutti attoniti, alla sua famiglia va il profondo cordoglio mio e della Regione".

"Grande dolore" è stato espresso anche dal presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti: "Non conosco i motivi che lo hanno portato a compiere questo gesto, ma con Monicelli perdiamo non solo uno dei più grandi registi, ma anche un grande italiano che con la sua arte ha portato lustro al nostro Paese. Addio maestro". Walter Veltroni parla di "un uomo straordinario, 95 anni portati con aspra ironia, con la voglia di dire ancora qualcosa con rabbia e autorevolezza. Solo pochi giorni fa la sua voce si era levata in difesa del nostro cinema, senza retorica, con la coscienza di un maestro. Non rinunciava mai a farci pensare. Per lui, ridere e riflettere erano quasi un sinonimo".

giovedì 25 novembre 2010

FS: CISL, NEI PIANI ANZIEDALI PASSO INDIETRO SU TAGLI IN SICILIA.

Messina, 25 novembre 2010 - "Sembra ufficiale il passo indietro da parte di Trenitalia e di conseguenza verrà scongiurato il taglio di numerosi treni a lunga percorrenza da e per la Sicilia già programmato per il prossimo 12 dicembre". La notizia, che arriva direttamente dai piani aziendali emanati in queste ore da Trenitalia, viene accolta con soddisfazione dal segretario generale della Cisl di Messina Tonino Genovese, dal segretario provinciale della Fit Cisl Enzo Testa e dal responsabile Ferrovie della Fit messinese Michele Barresi.
"Già nei giorni scorsi - sottolineano - dopo la forte denuncia avanzata come Cisl, pur mantenendo la massima cautela, avevamo capito che le ferrovie stavano lavorando per il ripristino dei treni in Sicilia originariamente soppressi a far data dal prossimo orario. In queste ore giungono le prime importanti conferme". Niente più bus gran turismo da Siracusa a Messina a sostituzione dei treni cosiddetti "antenne", che saranno invece tutti ripristinati, così come il collegamento da Agrigento a Catania che verrà garantito dal treno n. 1932 che si fonderà col n. 1938 proveniente da Siracusa continuando per Roma. Salvo il collegamento anche da Palermo verso Roma, treno n. 1936, con partenza alle ore 20.20 e che a Messina verrà agganciato al treno 1938. Oltre 300 i posti di lavoro nel nodo cittadino messinese, tra ferrovieri e servizi in appalto, che erano interessati dal taglio. "Ma quello prossimo ad essere ufficializzato col nuovo orario è anche il risultato della grande mobilitazione dei lavoratori che ha visto sul territorio messinese i ferrovieri scioperare ben nove volte in tre soli anni", rivendica il sindacato.

mercoledì 24 novembre 2010