giovedì 5 novembre 2009

L'arte micenea

Il rapporto tra Creta e le città della terraferma ellenica fu molto intenso; ma profondamente diverso è il terreno sociale su cui si sviluppa la civiltà descritta nei poemi omerici. Il fondamento delle monarchie che governano le città-stato elleniche è ancora patriarcale, ma agitato da fosche tragedie dinastiche e famigliari: comune, però (e lo prova la coalizione degli achei contro Troia) è l'aspra volontà di lotta contro gli ultimi capisaldi dell'espansione asiatica nel Mediterraneo.
Annidata sul monte e cinta da mura ciclopiche, Micene, la città degli Atridi, era insieme reggia e fortezza. Si accedeva alla cittadella per una via fortificata incassata tra muri guarniti di opere difensive, che terminava con la porta dei Leoni (v. foto), formata da quattro monoliti e sormontata da un fastigio triangolare, con due leoni rampanti e, nel mezzo, il fusto di una colonna. Fuori delle mura è il cosiddetto tesoro di Atreo, in realtà una tomba a tholos (a pianta circolare con una volta conica) di grandi dimensioni. È una costruzione scavata nel monte, e vi si accede da un dromos e da una porta simili a quelli della cittadella. La volta è formata da anelli di blocchi sporgenti, che vanno restringendosi verso l'alto, tenuti insieme dalla pressione del terreno. È uno spazio cavo senza luce: è la triste dimora dei morti, quasi l'immagine architettonica dell'Ade.
Il rapporto dell'arte micenea con quella cretese è dimostrato dalle pitture murali di Tirinto, dallo stile delle ceramiche e delle oreficerie. Le tazze auree di Vaphiò sono prossime, per l'improvvisazione plastica e narrativa, ai rilievi cretesi; ma il modo di sbalzare la lamina d'oro rendendola estremamente sensibile alla luce e quasi dilatandola nello spazio è proprio della oreficeria micenea, quale ci è nota da un'ampia serie di oggetti (pettorali, placche etc.) e, specialmente, dalle maschere funerarie, in cui lo stesso splendore della materia accresce la tremenda fissità dei volti.


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