Il rapporto tra Creta e le città della terraferma ellenica fu molto intenso; ma profondamente diverso è il terreno sociale su cui si sviluppa la civiltà descritta nei poemi omerici. Il fondamento delle monarchie che governano le città-stato elleniche è ancora patriarcale, ma agitato da fosche tragedie dinastiche e famigliari: comune, però (e lo prova la coalizione degli achei contro Troia) è l'aspra volontà di lotta contro gli ultimi capisaldi dell'espansione asiatica nel Mediterraneo.
Annidata sul monte e cinta da mura ciclopiche, Micene, la città degli Atridi, era insieme reggia e fortezza. Si accedeva alla cittadella per una via fortificata incassata tra muri guarniti di opere difensive, che terminava con la porta dei Leoni (v. foto), formata da quattro monoliti e sormontata da un fastigio triangolare, con due leoni rampanti e, nel mezzo, il fusto di una colonna. Fuori delle mura è il cosiddetto tesoro di Atreo, in realtà una tomba a tholos (a pianta circolare con una volta conica) di grandi dimensioni. È una costruzione scavata nel monte, e vi si accede da un dromos e da una porta simili a quelli della cittadella. La volta è formata da anelli di blocchi sporgenti, che vanno restringendosi verso l'alto, tenuti insieme dalla pressione del terreno. È uno spazio cavo senza luce: è la triste dimora dei morti, quasi l'immagine architettonica dell'Ade.
Il rapporto dell'arte micenea con quella cretese è dimostrato dalle pitture murali di Tirinto, dallo stile delle ceramiche e delle oreficerie. Le tazze auree di Vaphiò sono prossime, per l'improvvisazione plastica e narrativa, ai rilievi cretesi; ma il modo di sbalzare la lamina d'oro rendendola estremamente sensibile alla luce e quasi dilatandola nello spazio è proprio della oreficeria micenea, quale ci è nota da un'ampia serie di oggetti (pettorali, placche etc.) e, specialmente, dalle maschere funerarie, in cui lo stesso splendore della materia accresce la tremenda fissità dei volti.
Annidata sul monte e cinta da mura ciclopiche, Micene, la città degli Atridi, era insieme reggia e fortezza. Si accedeva alla cittadella per una via fortificata incassata tra muri guarniti di opere difensive, che terminava con la porta dei Leoni (v. foto), formata da quattro monoliti e sormontata da un fastigio triangolare, con due leoni rampanti e, nel mezzo, il fusto di una colonna. Fuori delle mura è il cosiddetto tesoro di Atreo, in realtà una tomba a tholos (a pianta circolare con una volta conica) di grandi dimensioni. È una costruzione scavata nel monte, e vi si accede da un dromos e da una porta simili a quelli della cittadella. La volta è formata da anelli di blocchi sporgenti, che vanno restringendosi verso l'alto, tenuti insieme dalla pressione del terreno. È uno spazio cavo senza luce: è la triste dimora dei morti, quasi l'immagine architettonica dell'Ade.
Il rapporto dell'arte micenea con quella cretese è dimostrato dalle pitture murali di Tirinto, dallo stile delle ceramiche e delle oreficerie. Le tazze auree di Vaphiò sono prossime, per l'improvvisazione plastica e narrativa, ai rilievi cretesi; ma il modo di sbalzare la lamina d'oro rendendola estremamente sensibile alla luce e quasi dilatandola nello spazio è proprio della oreficeria micenea, quale ci è nota da un'ampia serie di oggetti (pettorali, placche etc.) e, specialmente, dalle maschere funerarie, in cui lo stesso splendore della materia accresce la tremenda fissità dei volti.
questo stile mi piace di più
RispondiElimina